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DA QUI. Uno di nove alla Galleria Collica

Posted in recensioni mostre arte contemporanea with tags , , , , , , , , , on febbraio 7, 2010 by vince1971

Aria nuova sul fronte più meridionale del settore arte contemporanea in Italia, Catania. Una città che forse sotto il profilo degli eventi e degli intenti professati dagli addetti ai lavori,  almeno quelli più raffinati ed evoluti,  cerca di fornire qualcosa di più che semplici etichette all’immaginario corrente. La settimana scorsa abbiamo fornito la cronaca dell’inaugurazione della Fondazione Brodbeck, questa settimana parliamo di  qualcuno e di un luogo  che giocano un ruolo considerevole nel concept del progetto da poco inaugurato alla  factory catanese: si tratta di  Gianluca Collica, direttore artistico della fondazione,  e della sua galleria sita in via Musumeci a Catania.

DA QUI# 01.09  è la mostra in corso  dal 21 febbraio scorso. Una mostra cominciata in sordina sulla scia dell’a grande inaugurazione, il giorno stesso, quasi di slancio. Si tratta del primo evento promosso dalla galleria nel 2009,  tempo di partenze, tempo di anteprime. Progetti che arrivano, progetti che vanno: tempi, modi, spazi che si intersecano dando un’origine ad un nuovo percorso espositivo pensato da Alessandra Ferlito,  giovane curatrice della mostra. Da qui  principia un ciclo di personali  esposizioni  di tutti gli artisti qui presenti per un ciclo preventivato di due anni.

Dall’incontro di tanti progetti non poteva che nascerne uno collettivo, sebbene effimero, intenzionalmente effimero per sua intima necessità. Vi si rappresentano – soprattutto vi si fotografano – visioni, panoramiche, mappe: una sorta di cantiere a cielo aperto questa collettiva che vede nomi di primo piano della sperimentazione impegnati a rappresentarsi nel vivo di quella progettualità che è ormai l’essenza dell’arte stessa.

Da qui ai prossimi 9 incontri del ciclo, la precarietà estrema dell’ esserci – dell’essere nella forma – verrà qui rappresentata per sé stessa, nel suo freddo, blando concepirsi. Musa del momento non poteva essere che “lei”,  madamoiselle la fotografa che, qui,  con stampe off set di varie metratura e supporti  domina incontrastata: alcune sono anteprime,  come il riquadro impresso da Paolo Parisi in Commonplace (Museum) –  in programma alla Fondazione Brodbeck per l’anno in corso,  altre report, come l’istallazione di pannelli operata da Federico Baronello, le sue Barre d’Argento impresse su carta metallizzata con foto d’archivio, scrupolosamente annotate nel numero di serie, documentano lo sviluppo industriale e tecnologico in Sicilia.

Tutti siciliani chiaramente i partecipanti. Una curiosa istallazione di Filippo Leopardi introduce allo spazio fisico espositivo volgendo le spalle di una cassa di imballaggio per opere d’arte  al visitatore che accede alla mostra. La cassa da imballaggio – che cela sul  retro una “gradita” sorpresa – testimonia la precarietà artefatta del work in progress come tema, come tempo e modo di questa e delle nove mostre a venire nell’intero ciclo espositivo preventivato.

La plasticità è garantita o meglio auspicabile come il concepimento di un desiderio: chi entra mosso dall’esigenza di vedere realizzata – e di consumare – una forma, o anche solo un evento, viene via in fretta.

Non c’è un contenuto effettivo e nemmeno un quid in questo atto inaugurale, l’anti-evento concepito lungo le nude e crude dimensioni dello spazio e del tempo, si dona nel suo stesso farsi con tutta la leggerezza della sua precarietà estrema. Una formalità, o una questione di qualità cantavamo anni fa.

Sul luogo comune come concetto-visione insiste Maria Domenica Rapicavoli con due stampe al plexiglass  del celebre paese di Corleone, nume cinematografico, eterna cine-visione – più o meno autorizzata – del fenomeno mafia in Sicilia. La panoramica del centro abitato abbinata a un primo piano di faldoni tratti dal Tribunale di Palermo sono le coordinate minime concettuali di  un progetto sorto per  raccontare il  paesaggio attraverso  video interviste (reperibili altrove) in cui gli intervistati non vengono inquadrati per ragioni tutt’altro che giudiziarie ma solo ed esclusivamente, per così dire, formali.

Coi film fotografici di Cane Capovolto si chiude il cerchio di visioni del cominciamento: i film “fotografati” nel montaggio continuo degli Stereo Unfixed: un nuovo momento della ricerca che impegna da anni  il  collettivo di videomaker catanesi ( e non solo) in una decostruzione “crudele” dell’eterno presente quale fattore a-temporale dello Spettacolo contemporaneo. “Noi fotografiamo per dimenticare” recita uno slogan inserito nei loro “droni” , montaggi che occupa i 15 minuti totali del video presentato.

Al di qua del mezzo, “dietro” la visione si spinge infine il lavoro filologico di  ricostruzione aereo visiva operato da Carmelo Nicosia e dal gruppo FASE su lettere di corrispondenza di alcuni piloti americani in missioni di guerra sui cieli del Vietnam nel ciclo “Una grande nube oscurò il cielo”.

Apocalypse. Now?